L'omofobia non esiste più. Gli omosessuali sono ovunque e non danno fastidio a nessuno. Ho tanti amici omosessuali. Non sono contro i gay, ma teniamoli lontani dai bambini, dalle scuole, dalla vita pubblica. Non sono omofob* ma.
Frasi che tutti abbiamo sentito almeno una decina di volte nella nostra vita. Specialmente chi di noi è parte della Comunità LGBTQIA+ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer, Intersex, Asessuali). Eppure l'omofobia e la transfobia permeano la nostra società. Le aggressioni a sfondo omofobo e/o trasfobico avvengono ancora oggi, nel 2020. Le molestie e le discriminazioni che le persone della Comunità LGBTQIA+ subiscono sono troppo spesso giustificate come atti singoli, con annessa la nozione che “l'omofobia non esiste più.”
L’ultimo caso è quello avvenuto qualche giorno fa, in cui un'avvocatessa di Mantova ha dichiarato, tramite social media e in una chat privata, resa poi pubblica in forma anonima, che, parafrasando, l'omosessualità è un disturbo psichiatrico e che gli omosessuali non devono ricoprire cariche che li portino ad essere a contatto con i giovani.
Questo genere di affermazione non è nuova a coloro che prestano attenzione da anni alle discriminazioni che i membri della Comunità subiscono. O alle stesse vittime di questa mentalità.
Il retaggio culturale che porta le persone omotransfobiche ad associare l’omosessualità alla pedofilia è antico e ancora forte, sebbene sia stato più volte sfatato. Oggi le parole usate sono diverse, e così anche le accuse mosse alle persone della Comunità, ma il sentimento di fondo rimane: le persone LGBTQIA+ sono “accettabili" solo se si nascondono, se non dichiarano o mostrano pubblicamente la loro identità o il loro orientamento affettivo. E soprattutto, se non lavorano a contatto con i bambini, che corrono il rischio di essere “traviati” e di essere indirizzati verso un'identità diversa da quella cisgender ed eterosessuale.
Sono quasi 25 anni che l'Italia aspetta una legge che protegga le persone della comunità LGBTQIA+ da molestie, aggressioni e discriminazioni in tutti gli ambiti delle loro vite.
Frasi che tutti abbiamo sentito almeno una decina di volte nella nostra vita. Specialmente chi di noi è parte della Comunità LGBTQIA+ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer, Intersex, Asessuali). Eppure l'omofobia e la transfobia permeano la nostra società. Le aggressioni a sfondo omofobo e/o trasfobico avvengono ancora oggi, nel 2020. Le molestie e le discriminazioni che le persone della Comunità LGBTQIA+ subiscono sono troppo spesso giustificate come atti singoli, con annessa la nozione che “l'omofobia non esiste più.”
L’ultimo caso è quello avvenuto qualche giorno fa, in cui un'avvocatessa di Mantova ha dichiarato, tramite social media e in una chat privata, resa poi pubblica in forma anonima, che, parafrasando, l'omosessualità è un disturbo psichiatrico e che gli omosessuali non devono ricoprire cariche che li portino ad essere a contatto con i giovani.
Questo genere di affermazione non è nuova a coloro che prestano attenzione da anni alle discriminazioni che i membri della Comunità subiscono. O alle stesse vittime di questa mentalità.
Il retaggio culturale che porta le persone omotransfobiche ad associare l’omosessualità alla pedofilia è antico e ancora forte, sebbene sia stato più volte sfatato. Oggi le parole usate sono diverse, e così anche le accuse mosse alle persone della Comunità, ma il sentimento di fondo rimane: le persone LGBTQIA+ sono “accettabili" solo se si nascondono, se non dichiarano o mostrano pubblicamente la loro identità o il loro orientamento affettivo. E soprattutto, se non lavorano a contatto con i bambini, che corrono il rischio di essere “traviati” e di essere indirizzati verso un'identità diversa da quella cisgender ed eterosessuale.
Sono quasi 25 anni che l'Italia aspetta una legge che protegga le persone della comunità LGBTQIA+ da molestie, aggressioni e discriminazioni in tutti gli ambiti delle loro vite.