martedì 12 aprile 2016

Eurobarometro 2015, aumenta la discriminazione

Il 6 ottobre 2015 è stata pubblicata la nuova edizione dello Special Eurobarometer on Discrimination (la sintesi in italiano). Lo studio si basa su 27.718 interviste in tutta l’Unione europea, di cui 1.040 in Italia (periodo di rilevazione 30/05-08/06/2015). 

Il Rapporto della Ue mostra quanto siano cresciuti i fenomeni di discriminazione in questi anni di incertezza economica anche se con qualche contraddizione, visto che il 70% degli europei ha amici di fede e/o etnia differente. 

“L’Europa diventa sempre più intollerante quando c’è una crisi. Lo abbiamo già visto nel corso della storia passata. E bisogna imparare dalla storia ed essere consapevoli della sua esistenza. L’intolleranza deve essere combattuta perché la sopravvivenza della società europea dipenda dalla nostra capacità di vivere insieme con culture e religioni diverse”. Queste sono le parole del Vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, durante il convegno tenuto a Bruxelles per la presentazione del presente rapporto.

Le interviste riportano che:
- il 50% degli europei ritiene che la discriminazione fondata sulla religione o sulle convinzioni, credenze personali sia diffusa (nel 2012 lo credeva il 39%);
- il 33% ritiene che esprimere una credenza religiosa possa essere uno svantaggio quando si presenta una domanda di lavoro (nel 2012 lo credeva il 23%);
- solo il 61% degli intervistati si troverebbe a suo completo agio nel lavorare con un collega mussulmano, questo è infatti il gruppo religioso meno accettato socialmente.

Gli intervistati al quesito: “quanto si sentirebbe a suo agio se uno dei suo figli avesse una relazione sentimentale con uno dei seguenti gruppi di persone?” rispondono:
- l’ 82% degli intervistati ha detto che si troverebbe pienamente a proprio agio se il proprio figlia/o avesse una relazione sentimentale con una persona bianca;
- il 79% con una persona cristiana;
- il 64% con una persona atea;
- il 59% con una persona affetta da disabilità;
- il 59% si troverebbe a proprio agio con una persona ebrea e con una asiatica;
- il 56% con una persona buddista e con una persona di colore;
- il 44% si troverebbe a proprio agio se il proprio figlio avesse una relazione sentimentale con una persona del proprio sesso;
- il 43% con una persona musulmana;
- il 39% con una persona rom o sinta;
- il 32% degli intervistati ha detto che si troverebbe pienamente a proprio agio se il proprio figlia/o avesse una relazione sentimentale con una persona transessuale.

È stata posta una domanda riguardante gli stessi gruppi in merito al lavoro e le risposte degli intervistati in Europa e in Italia (vedi grafico) sono state le seguenti:
- l’ 83% (81% in Italia) si troverebbe completamente a proprio agio a lavorare con una persona bianca;
- l’82% (80% in Italia) con un cristiano;
- il 77% (75% in Italia) con una persona affetta da disabilità;
- il 74% (71 in Italia) con un ateo;
- il 72% (67% in Italia) con una persona di colore e anche con una persona di fede ebraica;
- il 71% (62% in Italia) con una persona asiatica;
- il 69% (64% in Italia) con una persona buddista;
- il 63% (53% in Italia) con una persona omosessuale o bisessuale;
- il 61% degli europei ed il 49% degli italiani si troverebbe completamente a proprio agio a lavorare con una persona di fede musulmana;
- il 56% (46% in Italia) con una persona transessuale;
- il 54% degli europei e 30% degli italiani si sentirebbero a proprio agio a lavorare con una persona sinta o rom.
Nella domanda erano presenti un paio di categorie in più che erano: una persona di età inferiore ai 25 anni (81% UE; 77% IT) e una persona di età superiore ai 60 anni(80% UE; 78% IT).


Un ulteriore quesito sempre riguardante il lavoro, ma in questo caso le assunzione era: “se un’azienda avesse la possibilità di scegliere tra due candidature con uguali capacità e requisiti, secondo lei quali caratteristiche potrebbero giocare a sfavore dell’uno o dell’altro?”. Per gli intervistati la caratteristica maggiormente sfavorevole è l’età superiore ai 55 anni (56% UE; 40% IT); il nome, l’età inferiore ai 30 anni e l’indirizzo del candidato/a sono poco rilevanti secondo gli intervistati, mentre l’aspetto esteriore del candidato/a, il modo di vestire e di presentarsi così come il colore della pelle o l’etnia ma anche la presenza di disabilità possono incidere molto sulla decisione dell’assunzione. L’identità di genere è sfavorevole per il 34%(36% in Italia) degli europei così come l’espressione del credo religioso che lo è per il 33% (16%) mentre l’orientamento sessuale incide sulla decisione per il 28% (33% in Italia) e il sesso del candidato per il 27% (22% in Italia). Anche in questo caso i dati sono in netto aumento rispetto al 2012.

Secondo il 62% degli europei, il 69% in Italia, dovrebbero essere introdotte nuove misure per migliorare il livello di tutela dei gruppi a rischio di discriminazione. L’80% degli intervistati nella Ue il il 75% in Italia crede che fornire una formazione in materia di diversità possa favorirla all’interno del posto di lavoro. Mentre il 77% degli intervistati, l80% in Italia, ritengono che monitorare le procedure di assunzione per garantire che i candidati appartenenti a gruppi a rischio di discriminazione abbiano le stesse opportunità degli altri candidati a parità di conoscenze e qualifiche possa essere utile per favorire la diversità.

L’81% degli europei è d’accordo con l’introdurre all’interno delle scuole materiali scolastici riguardanti l’origine etnica (75% in Italia); l’80% riguardanti la religione ed il credo (77%in Italia); il 67% sull’orientamento sessuale (58% in Italia) e il 64% sull’identità di genere (56% in Italia).

Nel rapporto c’erano domande inerenti anche all’uguaglianza di genere. Il 94% degli intervistati ha risposto che l’uguaglianza tra uomini e donne è un diritto fondamentale; mentre il 62% ritiene che le discriminazioni di genere siano molto diffuse nel proprio paese. Secondo gli intervistati le diseguaglianze di genere sono principalmente causate dalla violenza contro le donne e dagli stereotipi di genere. Per tutelare la parità dei sessi, secondo il 42% degli europei, l’Unione Europea dovrebbe garantire alle donne la stessa retribuzione degli uomini per lo stesso lavoro, rendere i servizi per l’informazione più accessibili e aumentare i contratti di lavoro flessibile. Tra gli stati che ritengono la discriminazione di genere un problema all’ordine del giorno troviamo: Francia, Spagna, Svezia, Italia ed Austria.

Per quanto riguarda le discriminazioni sull’orientamento sessuale, il 71% degli europei ed il 71% degli italiani intervistati affermano che le persone omosessuali e bisessuali dovrebbero godere degli stessi diritti delle persone eterosessuali. Il 67% degli intervistati, il 61% in Italia, dichiarano che non c’è nulla di sbagliato in una relazione sessuale tra persone della stesso sesso e secondo il 61%, il 55% in Italia, i matrimoni tra persone dello stesso sesso dovrebbero essere consentiti in tutta Europa.

Le due immagini sottostanti mostrano i grafici sulle risposte date dagli intervistati al quesito: “per ciascuno dei seguenti tipi di discriminazione potrebbe dirmi se, secondo lei, è molto diffusa, abbastanza diffusa, piuttosto rara o molto rara nel proprio paese?”.
Di fianco ad ogni dicitura di fattore discriminante sono segnate le percentuali degli intervistati che le ritengono molto diffuse: l’origine etnica (64% UE; 73% IT), l'orientamento sessuale(58% UE; 73% IT), l’identità di genere(56% UE; 71% IT), la religione/il credo(50% UE; 47% IT), disabilità (50% UE; 52% IT), avere un’età superiore ai 55 anni (42% UE; 41% IT), il sesso (37% UE; 41% IT), avere un’età inferiore ai 30 anni (19% UE; 22% IT).



Nel primo grafico, oltre al quesito, sono evidenziate le differenze tra Europa ed Italia, mentre nel secondo grafico, oltre al quesito, sono evidenziate le differenze tra 2012 e 2015 in tutt’Europa. I numeri sono aumentati in maniera significativa dal 2012 al 2015. L’unico dato che è più basso dal 2012 al 2015 è quello rispetto all’avere un’età superiore ai 55 anni che nel 2012 era 45%, mentre nel 2015 è del 42% in Europa e del 41% in Italia.

Il 47% degli europei ed il 58% degli italiani non conoscono i propri diritti nel caso fossero vittima di discriminazioni o molestie. Il 35% UE (38% IT) denuncerebbe la molestia o la discriminazione alla polizia, il 17% UE (13% IT) ad un’organizzazione per le pari opportunità, il 17% degli europei denuncerebbe l’accaduto ad un avvocato (21% IT) e solo il 9% UE (6% IT) ai sindacati.

Lo Special Eurobarometer on Discrimination sottolinea quanto, in pochi anni, le discriminazioni siano aumentate e quanto le persone non conoscano i propri diritti nell'ambito lavorativo, ma mostra che c’è una buona fetta della popolazione europea che crede nell’eguaglianza e non tiene conto della diversità. Si certo, sarebbe preferibile che più persone la pensassero così e che tutti agissimo per il bene comune: la libertà di essere chi siamo senza essere discriminati. È proprio a questo che servono gli studi e le ricerche europee: a rendere le persone più partecipi e mostrare loro come stanno le cose nel proprio Paese. L'obiettivo è che più gente possibile prenda coscienza del mondo in cui viviamo e che “si alzi in piedi” contro le discriminazioni.

La crisi economica e l’incertezza del domani rendono le persone sempre più diffidenti e arrabbiate verso il diverso, questa situazione dovrebbe in realtà unirci, perché come da sempre ci viene insegnato, l’unione fa la forza e solo stando insieme e costruendo un clima di serenità riusciremo a sconfiggere il “nemico” comune: l’ignoranza, che ci porta alla paura e all’odio nei confronti dell’altro.

Dovremmo recuperare la voglia di vivere in comunità, aiutarci gli uni con gli altri e non segregarci nell’egocentrismo, più ci apriamo agli altri e più riusciamo a scoprire quanto il mondo ha da offrire. Serve il coraggio a non stagnarsi nei pregiudizi e conoscere chi ci sta intorno perché solo così scopriremo che non siamo poi così diversi.

di Atina Zarkua

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